L'industria dei combustibili fossili si batte davvero per la giustizia sociale?
Una scorsa superficiale ai social media potrebbe dare l'impressione che l'industria dei combustibili fossili si consideri ormai militante per la giustizia sociale, in lotta per aiutare poveri, emarginati e donne, almeno secondo il marketing degli ultimi anni.
Ecco alcuni esempi:
- La ExxonMobil pubblicizza i suoi sforzi volti a "ridurre le emissioni di carbonio con soluzioni energetiche innovative".
- La Chevron vuole farvi sapere che in questi tempi oscuri “tiene una luce accesa”.
- La BP punta a #NetZero (zero emissioni nette), ma allo stesso tempo è orgogliosa delle "innovazioni digitali" sulla sua nuova enorme piattaforma petrolifera nel Golfo del Messico.
- La Shell sottolinea il suo sostegno concreto a favore delle donne in mestieri tradizionalmente dominati dall'uomo.
Queste campagne ricadono in quelli che alcuni sociologi ed economisti definiscono "strategia del rinvio" ("discours of delay"). Le compagnie petrolifere e del gas naturale per molti anni hanno negato la crisi del cambiamento climatico.
Oggi però, la comunicazione del settore è più sofisticata e molto più efficace del puro e semplice negazionismo climatico.
Come si struttura una campagna mediatica basata sul woke washing?
La cosa peggiore è che gli stessi critici del settore non riescono a stare completamente al passo con questo nuovo approccio mediatico. "Se ci concentriamo sul negazionismo climatico, tutte queste altre strategie passano inosservate" spiega Robert Brulle, sociologo ambientale e visiting professor alla Brown University.
Nel 2019 Brulle ha pubblicato uno studio peer-reviewed in cui ha analizzato le spese pubblicitarie delle maggiori compagnie petrolifere nell'arco di 30 anni: "Probabilmente spendono cinque o dieci volte tanto per tutta questa pubblicità promozionale [sulle apparenti questioni sociali], mentre il movimento climatico si batte solo contro le pubblicità negazioniste."
La "strategia del rinvio" dell'industria si divide in quattro categorie:
- reindirizzare le responsabilità (le emissioni dei combustibili dipendono anche dai consumatori),
- consigliare soluzioni non trasformative (non c'è bisogno di un cambiamento dirompente),
- enfatizzare gli inconvenienti di un'azione concreta (un cambiamento creerà disturbi),
- arrendersi (non è possibile mitigare il cambiamento climatico).
Ma un tema prevale sugli altri: "l'argomentazione della giustizia sociale".
Di solito questa strategia può assumere due forme:
- allertare sul fatto che l'abbandono dei combustibili fossili avrà un impatto negativo per le comunità povere e marginalizzate,
- affermare che le compagnie petrolifere e del gas sono dalla parte di queste comunità.
La tesi si basa sull'assunto che alle comunità povere l'energia dei combustibili fossili stia più a cuore dei pericoli relativi (inquinamento atmosferico e idrico, oltre al cambiamento climatico), e che non esista un modo per fornire a queste comunità o nazioni povere un'energia rinnovabile a prezzi accessibili.
Il woke washing in pratica
Ecco alcuni esempi dell’incoerenza di certe compagnie: Chevron l'anno scorso ha dichiarato la propria solidarietà nei confronti del Black Lives Matter, pur essendo responsabile dell'inquinamento di Richmond (California), città a maggioranza di colore dove ha la sua sede e dove, tra le altre cose, sovvenziona una forza di polizia con cifre superiori? alla media.
Nel frattempo l'American Petroleum Institute, la più grande lobby e associazione di categoria di Big Oil, promuove la diversità nei programmi di ambito scientifico, tecnologico e ingegneristico, ma rifiuta di riconoscere l'impatto sproporzionato sulle comunità di colore.
"Questi mezzi purtroppo sono efficaci, funzionano" spiega Roberts. "Perciò serve una sorta di immunizzazione: la gente ha bisogno di una guida sul campo per questi argomenti, per non farsi ingannare."
Come distinguere tra woke washing e i veri valori di un brand o un'azienda?
Guida pratica e veloce per identificare subito un’azienda che sta provando ad ingannarci:
- Cercare di capire se la causa sposata da un brand sia quanto più possibile coerente con la propria storia, i propri valori, la propria mission aziendale e, allo stesso tempo, con le campagne – di comunicazione, di donazioni, ecc. – già svolte in passato;
- Cercare la chiarezza e la trasparenza rispetto alle ragioni per cui il brand ha scelto di dare sostegno a una causa, un movimento e non ad altri, soprattutto quando in gioco ci sono anche donazioni o fundraising;
- Fare attenzione alle azioni, più che alle parole: come si è visto, infatti, molte delle accuse di woke washing sono cadute addosso ai brand per l’incongruenza tra i messaggi veicolati con le proprie campagne, azioni intraprese e routine all’interno dei loro ambienti di lavoro.
Fonti:
The Guardian - Covering Climate Now
Insidemarketing - woke washing