Tenetevi forte perché l’argomento di oggi sarà un “turbinio” di emozioni.
Oggi vedremo infatti la regina delle fonti rinnovabili, sia in termini di importanza storica, sia in termini di energia prodotta: stiamo parlando infatti dell’energia idroelettrica!
Origini e principi dell’idroelettrico
Per trovare le radici di questa tecnologia dobbiamo scavare fino al tempo dei Greci (e chi sennò), i quali per primi iniziarono a sfruttare i corsi d’acqua per azionare i mulini impiegati nella macinazione del grano.
Le prime applicazioni industriali però risalgono alla fine del 1800, quando si iniziò a sfruttare questa energia per la produzione di elettricità.
Perfetto, e allora come si produce energia elettrica dall’acqua? Come in ogni progetto vincente che si rispetti, il segreto sta nella sua semplicità.
La chiave sta nel catturare l’acqua, e questo possiamo farlo in diversi modi a seconda di come si presenta la risorsa sul territorio; principalmente infatti gli impianti idroelettrici si dividono in due tipologie:
- A serbatoio e a bacino: caratterizzati dalla presenza di un accumulo (o serbatoio) a monte, naturale o artificiale, che raccoglie tutte le acque provenienti dal bacino. Sono i tipici impianti che possiamo trovare nelle zone montane, caratterizzati da grandi salti. Se il serbatoio in questione ha una durata di invaso compresa tra 2 e 400 ore si parla di impianto a bacino, mentre se si va oltre si parla di impianti a serbatoio.
- Ad acqua fluente: sono impianti in cui il serbatoio a monte è assente o ha una durata di invaso inferiore alle due ore. Sono impianti in cui si impiegano grandi masse di acqua fluviale che sfruttano piccoli salti e sono installati per lo più in prossimità di fiumi con portata poco variabile durante l’anno.
- Un’ulteriore tipologia è quella degli impianti ad accumulazione forzata, i quali sono costituiti da due serbatoi, uno superiore e uno inferiore. Questi due bacini sono collegati da una condotta nella quale l’acqua può sia passare “naturalmente” da monte a valle, come per gli impianti appena visti, sia essere pompata dal bacino
Fig.1: Schema di massima di una centrale idroelettrica
inferiore a quello superiore. In questo modo si riesce ad accumulare l’energia prodotta in eccesso dalle centrali termoelettriche durante le ore di minore assorbimento sotto forma di energia potenziale, successivamente con questa riserva di energia si può coprire il fabbisogno elettrico durante le ore di maggiore assorbimento, funzionando normalmente ed erogando potenza in rete.
Questi impianti, seppur diversi tra loro, condividono lo stesso principio di funzionamento. Infatti una volta accumulata la risorsa, un sistema di condotte ed ugelli ha il compito di indirizzare l’acqua con pressioni e portate ottimali alle turbine, che inizieranno quindi a mettersi in moto generando energia elettrica.
Inoltre, grazie alle diverse tecnologie esistenti, queste centrali hanno il vantaggio di poter essere progettate per differenti range di potenze, si può passare infatti da potenze installate che superano i 3 GW* fino a valori inferiori ai 100 kW*.
La turbina idraulica
La turbina idraulica è l’organo cardine di una centrale idroelettrica, infatti ha il compito di convertire l’energia cinetica e potenziale dell’acqua in energia meccanica. Essa è composta da un organo palettato rotante (detto girante o rotore), calettato su un albero che può essere ad asse orizzontale, verticale o inclinato e che trasmette il moto all’alternatore. Oltre alla parte mobile, la turbina è composta anche da una parte fissa, lo statore, il corpo esterno avvolgente, vincolato alla struttura dell’edificio. Questo comprende le via di adduzione dell’acqua al rotore e gli organi regolatori. Un componente fondamentale della parte statorica della macchina è il distributore, ovvero l’organo incaricato di convertire parzialmente o totalmente l’energia potenziale in energia cinetica. Il distributore è differente a seconda della tipologia di turbina, ma in ogni caso è l’organo da cui fuoriesce il flusso d’acqua che, con inclinazione ottimale, investirà le pale della turbina.
Le turbine idrauliche sono infatti distinte sia in base al grado di reazione, come turbine ad azione o turbine a reazione, sia dal punto di vista della conformazione, secondo la quale possiamo distinguere principalmente tre tipi di turbine: Pelton, Francis e Kaplan (o assiale).
Grado di reazione
In generale, parte dell’energia potenziale viene trasformata in cinetica nello statore della macchina e parte nel rotore. Si definisce quindi grado di reazione, e si indica con R, il rapporto fra l'energia potenziale trasformata nella girante e tutta quella disponibile, con (Hu-Hw) il salto entalpico* totale (rotore + statore) decurtato delle perdite interne alla turbina dovute a resistenze e attriti di varie forme, e con ∆H il salto entalpico sul rotore.
R =∆H/(Hu- Hw)
Pertanto, una turbina è detta a reazione (0 < R < 1) quando l’energia potenziale si trasforma solo parzialmente in energia cinetica all’interno del distributore, per poi completare la trasformazione nella parte rotorica.
Si dice invece ad azione (R = 0) quando tale trasformazione avviene interamente nella parte statorica.
Tipologie di turbine
1.La turbina Pelton
Fig.2: Schema di una Turbina Pelton.
Questa turbina, come per le altre che vedremo in seguito, prende il nome dal suo inventore Lester Allan Pelton, carpentiere statunitense che la brevettò nel lontano 1880.
È utilizzata per grandi salti (tra i 300 e i 1400 m) e piccole portate (inferiori a 50 m³/s), si utilizza quindi solitamente per i bacini idroelettrici alpini. Questa è una macchina ad azione, pertanto la trasformazione dell’energia potenziale gravitazionale posseduta dal fluido in energia cinetica avviene interamente nella parte statorica, più precisamente nell’ugello*. Quindi, si possono individuare due elementi fondamentali: il distributore e la ruota. Il primo, principalmente composto da un ugello, è incaricato di convogliare l’acqua proveniente dal bacino attraverso la condotta, regolarne la portata e trasformare tutto il salto utile Hu in energia cinetica. La ruota è costituita da un disco sul quale sono calettate le pale (che possono essere saldate, imbullonate o ricavate per fusione). Su di esse il getto, dopo aver percorso un certo tratto d’aria, va ad incidere sulla linea di mezzeria. Da qui, come si intuisce dalla Fig.2 sulla destra, il getto si divide in due metà e dopo aver percorso le due semipale esce in due versi opposti con la minor velocità possibile al fine di minimizzare le perdite per velocità residua allo scarico.
2.La turbina Francis
La turbina Francis viene detta ad ammissione totale, in quanto l’acqua investe contemporaneamente tutte le pale creando una spinta simmetrica; inoltre è una macchina a reazione, dato che la trasformazione dell’energia potenziale in cinetica avviene solo parzialmente all’interno dell’ugello distributore. Di conseguenza le strutture del distributore e della girante hanno una conformazione totalmente diversa da quelle della turbina Pelton. Nata nel 1848 dall’idea dell’ingegnere inglese James B. Francis, questa turbina risulta ancora oggi la più impiegata, infatti la sua geometria può variare molto, rendendola utilizzabile in un range di altezze che va dai 20 ai 500 m.
In generale questa macchina è costituita da un predistributore (non sempre presente), un distributore a pale orientabili o distributore Fink, una girante e un condotto d’aspirazione.
Fig.3: Spaccato di una turbina Francis: si notino le due palettature, la più
esterna appartenente al distributore e quella più interna alla girante.
L’acqua, al termine della condotta forzata, viene guidata in una camera anulare a forma di spirale. Da qui viene distribuita con continuità lungo la circonferenza del rotore, andando dall’esterno verso l’interno della girante. Nel distributore i profili di due palette consecutive formano un canale di passaggio a sezione via via più stretta, che obbliga l’acqua a prendere velocità: in questo modo nel distributore viene trasformato non tutto il salto utile, ma solo una parte.
Come si evince dalla figura sottostante, il distributore è provvisto di pale orientabili in sincronismo e azionate da leveraggi controllati da attuatori esterni. In questo modo è possibile regolare la portata d’acqua, guidare l’acqua sulle pale della girante con la direzione ottimale e regolare la potenza erogata dalla macchina.
Fig.4: Sopra le pale sono in posizione di minima portata, sotto sono state ruotate per permettere portate e potenze maggiori.
3.La turbina assiale o “ad elica”
La turbina assiale (chiamata così perché il flusso d’acqua entra ed esce in direzione assiale rispetto all’asse di rotazione della girante) è un tipo di macchina a reazione adatta ad elaborare portate molto grandi sotto l’azione di salti piuttosto ridotti. Trovano perciò impiego negli impianti ad acqua fluente installati su fiumi e su impianti mareomotrici*, che sfruttano piccoli dislivelli (fino a qualche decina di metri) con grandi portate, dai 200 - 300 m³/s in su.
In questa tipologia sono comprese le turbine ad elica, le turbine Kaplan, a bulbo e tubolare.
Fig.5 Si noti la variazione dell’inclinazione delle pale della girante
In particolare quella ad aver riscosso maggiore successo è la turbina Kaplan. Dotata di pale rotoriche a calettamento variabile, è in grado di mantenere alti rendimenti anche in condizioni non nominali. Questa caratteristica risulta fondamentale per adattarsi al continuo oscillare della portata dei fiumi o alle variazioni di richiesta di energia elettrica della rete.
Le turbine ad elica sono macchine a reazione ad ammissione totale, sono dotate di un distributore Fink e di un condotto di aspirazione uguale a quello delle Francis. La grande differenza sta nella girante, costruttivamente più simile ad un elica e, come detto prima, in grado di variare l’inclinazione delle pale.
Fig.6 Girante Kaplan: ai lati si notano le due sezioni del condotto a chiocciola, poi le pale del distributore (in verde), centralmente la girante. Le linee azzurre rappresentano le linee di fluido. In basso la macchina continuerà con un tubo diffusore.
Turbine a confronto
Come si evince dalla figura sottostante, si possono ben identificare campi di impiego e limiti delle tre principali tipologie di turbine.
Fig.7 Campi di utilizzo delle turbine idrauliche.
In ordinata troviamo la portata, mentre in ascissa il salto sfruttato. Da qui si capisce bene che mentre la turbina Pelton sfrutta piccole portate d’acqua con salti molto grandi, la Kaplan (e le altre turbine assiali) sfruttano portate anche oltre i 10’000 litri al secondo ma che non superano i 30 metri di salto. Le turbine Francis invece, occupano la zona di mezzo ma sono spesso impiegabili anche ai limiti dei campi di competenza delle Pelton e delle assiali.
Dove si trovano gli impianti idroelettrici in Italia? E perché proprio al Nord?
Con l’invenzione della turbina Francis nel 1848 e della turbina Pelton 1880 si aprì la strada allo sfruttamento dei corsi d’acqua per la produzione di energia elettrica. In Italia, la presenza di numerosi fiumi e la carenza di miniere di carbone domestiche fece sì che, fin da subito, l’energia idroelettrica diventasse la più importante fonte di approvvigionamento energetico.
La conformazione fisica della penisola, con la dorsale appenninica e soprattutto con l’arco alpino, fornisce le caratteristiche geografiche ottimali per l’installazione di turbine idrauliche ad alta produttività. Nella prima metà del Novecento avvenne il boom della costruzione di grandi centrali nell’arco alpino, la cui energia veniva poi distribuita in tutto il Paese, fino a che, sia a causa della paura provocata dal disastro della diga del Vajont, sia a causa dell’oggettiva saturazione dei grandi dislivelli sfruttabili, si è assistito ad un appiattimento dell’aumento della potenza installata. Con l’affacciarsi dell’eolico e del solare negli ultimi decenni, l’idroelettrico ha quindi perso il suo ruolo centrale di fonte rinnovabile, coprendo nel 2020 il 40% della produzione di energia da fonti rinnovabili e il 17% della produzione nazionale totale.
Dal Duemila si è assistito al proliferare del cosiddetto “mini-idroelettrico”, ossia impianti con potenza installata inferiore ai 3 MW* (definizione accettata in Italia). Infatti, anche se il numero di impianti sul territorio nazionale è passato da 2.249 nel 2009 a 4.337 nel 2018, la potenza effettiva installata è aumentata in media solo dello 0,7% all’anno.
La stragrande maggioranza degli impianti, e della potenza installata, si trova lungo le Alpi, dove molte valli sono state trasformate in bacini idrici. Al 2020, in Lombardia si registra il 27% della potenza idroelettrica nazionale, seguita dal Trentino-Alto Adige con il 17% e dal Piemonte, con il 14%, rappresentando insieme circa il 60% della potenza nazionale. A livello provinciale è ancora più evidente la corrispondenza tra potenza installata, energia prodotta e morfologia del territorio. Al 2020 la potenza complessiva installata è di 19,1 GW, valore non molto superiore ai 17,6 GW del 2008, mentre è da notare che i circa 300 impianti di grosse dimensioni (superiori a 10 MW) producono da soli i tre quarti dell’energia complessiva (47,5 TWh*).
Di seguito è mostrata la distribuzione geografica su base provinciale, in percentuale sul totale nazionale, della potenza installata e dell’energia prodotta, escludendo quella prodotta in seguito a pompaggio in quanto potenzialmente proveniente da fonti non rinnovabili:
Fig.8-9 Distribuzione geografica dell’idroelettrico in Italia.
Impatto Ambientale
Anche se l’idroelettrico è una fonte completamente rinnovabile, se si esclude l’energia prodotta a seguito di pompaggio, esistono diverse problematiche ambientali da prendere in considerazione in fase progettuale.
La costruzione di una diga per un impianto a bacino va ad impattare inevitabilmente sulle caratteristiche idromorfologiche* del corso d’acqua. A monte dello sbarramento si forma un invaso e si trasforma un ambiente di acque correnti (acque lotiche) in un ambiente di acque ferme (acque lentiche), con possibili conseguenze sull’ecosistema. A valle dello sbarramento si potrebbero verificare periodi di secca se non viene garantito il cosiddetto “deflusso minimo vitale” (DMV), ovvero la portata di acqua minima per garantire l’integrità ambientale e utilizzi antropici come l’approvvigionamento idrico e la pesca.
Una particolare attenzione va posta nei confronti della fauna acquatica. Deve essere rispettato il valore del deflusso minimo vitale per evitare di recare danni alla deposizione, incubazione, crescita e transito dei pesci. Per quest’ultimo aspetto vanno poste reti e costruiti opportuni passaggi per consentire ai pesci di discendere e risalire il fiume e evitare che passino dalla turbina. Inoltre, la presenza dello sbarramento e dei filtri all’ingresso della turbina rischia di ostruire il passaggio dei detriti che naturalmente sono trasportati dal fiume verso la foce, contribuendo così su lunghi periodi alla locale erosione della costa.
Prospettive Future
Sicuramente in Italia l’idroelettrico non crescerà al pari delle altre tecnologie rinnovabili, essendo limitato essenzialmente da fattori geografici. Le prospettive di sviluppo però ci sono, e sono in termini di efficienza. Molti degli impianti presenti sul territorio hanno più di 70 anni e mostrano i segni del tempo. C’è lo spazio per un miglioramento con manutenzioni e piccole sostituzioni, che permetterebbero di aumentare la potenza complessiva di alcuni gigawatt.
Legenda
*ugello: si intende la parte terminale di una tubazione, caratterizzata da due diametri diversi in ingresso e uscita. L’acqua entra dalla sezione a diametro maggiore, per uscire da quella a diametro minore ad una pressione minore ma ad una maggiore velocità.
*salto entalpico: variazione dell’entalpia posseduta dal fluido, ovvero la variazione della somma tra energia interna e del prodotto pressione-volume.
*impianti mareomotrici: impianto che produce energia elettrica sfruttando l'energia delle correnti d'acqua marina suscitate dalle maree.
*TW, GW, MW, kW: unità di misura della potenza multipli del Watt, rappresentano rispettivamente terawatt (1012W), gigawatt(109W), megawatt (106W)e chilowatt (103W).
*TWh: unità di misura dell’energia. 1 TWh (“terawattora”) corrisponde all’energia prodotta da un impianto ad 1TW di potenza in funzionamento per 1 ora.
*caratteristiche idromorfologiche: si intendono tutte quelle caratteristiche che influenzano la natura del corpo idrico, tra le quali sono comprese ad esempio le caratteristiche di erosione, la vegetazione adiacente, la struttura delle sponde e la struttura/utilizzo dei territori limitrofi.
Fonti:
- G. Anzalone, P. Bassignana G. B. Musicoro (2012). Meccanica, macchine ed energia. Hoepli
- L. Martorano, M. Antonelli (2011). Elementi di macchine a fluido. ETS
- https://educazionetecnicaonline.com/wp-content/uploads/2012/01/Schema-diga.png Fig.1
- https://vehiclecue.it/pelton-turbine/10819/ Schema di una Turbina Pelton Fig.2
- https://vehicle.closeupengineering.it/wp-content/uploads/2017/07/Francis_Turbine_Low_flow.jpg Fig.4
- https://it.wikipedia.org/wiki/Turbina_Francis#/media/File:Girante Francis.svg Fig.3
- http://fluens.link/project/k20-gallery-1/ Fig.5
- https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/7/70/Kaplan.jpg/640px-Kaplan.jpg Fig.6
- https://blog.rw-italia.it/wp-content/uploads/2018/04/Mini_Idroelettrico-5-1024x672.jpg Fig.7
- https://www.enelgreenpower.com/it/learning-hub/energie-rinnovabili/energia-idroelettrica/italia
- https://anteritalia.org/la-storia-dellenergia-idroelettrica-nel-mondo-italia/
- https://www.terna.it/it/sistema-elettrico/statistiche/pubblicazioni-statistiche
- http://www.energoclub.org/page/idroelettrico-impatto-ambientale